L’inconsueto avviso, che pubblichiamo qui sopra, non si è limitato ad avvertire gli interessati della richiesta di proroga per i reati di corruzione, maltrattamento di minori, affidamento di minori in violazione delle norme sull’adozione e rivelazione di notizie atte a rintracciare minori adottati: accuse per le quali, scaduto il primo termine di sei mesi, la notifica era necessaria proprio per la richiesta di autorizzazione a continuare l’inchiesta, presentata dai magistrati antimafia di Ilda Boccassini. Il Tribunale milanese è andato oltre: come si legge nella parte evidenziata, ha rivelato ai tre destinatari che contro di loro erano in corso anche indagini per associazione per delinquere aggravata e immigrazione clandestina per finalità di lucro. Sono reati ancora più gravi per i quali l’inchiesta sarebbe dovuta rimanere segreta per almeno dodici mesi, con possibilità di proroga di un altro anno. Perché, una volta violato il segreto, diventano ovviamente inutili tutte le attività investigative permesse dal codice come le intercettazioni telefoniche e ambientali, l’acquisizione del traffico informatico, filmati e perquisizioni. Proprio come è accaduto: gli indagati sono stati avvertiti il 30 ottobre 2017 dell’inchiesta che doveva rimanere segreta almeno fino al 3 aprile 2018, pochi giorni fa.

La Sezione Gip, che ha poi concesso la proroga, avrebbe potuto tacere i reati più gravi sfruttando gli strumenti offerti dall’articolo 407 del codice di procedura penale. L’indagine sulle presunte coperture italiane a una organizzazione di ladri di bambini attiva nella Repubblica Democratica del Congo è stata così gravemente compromessa. Anche per questo la Direzione distrettuale antimafia si è rassegnata a chiedere l’archiviazione del procedimento. Mentre le decine di genitori italiani, che hanno inconsapevolmente adottato bambini che non potevano essere adottati perché sottratti con l’inganno alle loro famiglie, hanno presentato opposizione: da tempo chiedono che siano accertati i fatti e puniti i responsabili del presunto traffico.

Deciderà mercoledì 11 aprile il giudice per le indagini preliminari, Sofia Fioretta, nella camera di consiglio convocata alle 12.15 al settimo piano del Palazzo di giustizia, stanza 7.05. È lo stesso giudice che si è occupato della proroga dell’inchiesta, anche se l’inconsueto avviso agli indagati è partito dalla cancelleria. Ed è anche lo stesso magistrato che ha negato le intercettazioni: su richiesta dei pubblici ministeri Giovanna Cavalleri e Paolo Storari presentata il 19 maggio 2017, il gip Fioretta ha risposto dopo diciotto giorni, il 6 giugno, con un decreto di 27 pagine che, senza ulteriori accertamenti, praticamente assolve gli indagati sostenendo la mancanza di indizi. «Occorre precisare che l’indagine…», scrive comunque il giudice, «può essere adeguatamente proseguita e sviluppata attraverso l’audizione delle numerose persone interessate e già individuabili in base agli atti trasmessi». Ma le decine di genitori adottivi coinvolti e i responsabili della Commissione per le adozioni internazionali che hanno raccolto le prime denunce, a cominciare dall’allora vicepresidente, il magistrato Silvia Della Monica, non sono mai stati sentiti. E la rivelazione del segreto agli indagati rende ora più difficile la raccolta di nuovi riscontri. Nelle carte già acquisite ci sono però atti e resoconti che da soli documentano presunte gravi irregolarità: come dichiarazioni ufficiali non corrispondenti al vero, la scomparsa di una bambina e il trattenimento per diciotto mesi in zona di guerra di diciotto minori italiani, contro il volere dei genitori adottivi e l’ordine delle autorità italiana e congolese. Per questo, secondo i legali delle famiglie, l’indagine deve essere ripresa al più presto partendo dall’importante documentazione già disponibile.

Marco Griffini, 70 anni, il primo degli indagati, è stato nominato il 23 gennaio dal ministro Giuliano Poletti consulente del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Irene Bertuzzi, 68 anni, è la moglie e Valentina Griffini, 35 anni, la loro figlia. Sono rispettivamente presidente, amministratore delegato e responsabile delle operazioni in Africa dell’associazione di San Giuliano Milanese “Aibi-Amici dei bambini”, l’ente autorizzato dal governo a rappresentare nel mondo lo Stato italiano nelle delicate procedure di adozione internazionale.

La storia dei Griffini è strettamente intrecciata con la politica. Negli ultimi tempi, in particolare con il Partito democratico. I magistrati Cavalleri e Storari hanno scoperto che dal 27 maggio 2015, quando già da cinque mesi i bambini erano indebitamente trattenuti in un istituto legato ad Aibi in Congo, al 19 maggio 2017 quarantacinque telefonate hanno collegato tra loro la sede dell’associazione a San Giuliano Milanese e il centralino di Palazzo Chigi. Altre due chiamate si aggiungono il 20 maggio 2016 dal cellulare personale di Marco Griffini. E altre tredici contattano un numero riservato della Presidenza del Consiglio: undici sono partite tra il 28 maggio e il 5 luglio 2016 dal telefonino personale di Valentina Griffini e due il 7 luglio 2016 da quello del padre, presidente di Aibi. L’Espresso ha scoperto che il numero riservato corrisponde al cellulare tuttora in uso a Mauro Antonelli, allora capo della segreteria tecnica del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, e oggi membro esperto della Commissione per le adozioni internazionali, l’autorità di controllo del governo. «Non mi ricordo i motivi per cui mi hanno chiamato», spiega Antonelli: «Io ero nella diretta collaborazione del ministro Boschi, quando la Boschi mi ha detto di non parlare più con questa persona, perché io dovevo parlare con tutti i rappresentanti degli enti, ho lasciato perdere. Io facevo da filtro. Mi chiedevano o della Boschi o del segretario particolare, e così anche altri presidenti di enti».

Soltanto per il periodo esaminato dalla Dda di Milano, i vertici di Aibi hanno contattato i numeri della Presidenza del Consiglio sessanta volte. Marco Griffini ha inoltre chiamato diciassette volte il cellulare del senatore Carlo Giovanardi tra il 24 dicembre 2015 e il 10 aprile 2017, trentatré volte il parlamentare del Centro democratico, Mario Sberna, e due volte nel 2015 e nel 2016 il neodeputato leghista Alessandro Pagano. Sono tutti nomi uniti dalla campagna parlamentare che ha portato alla mancata conferma a capo della Commissione per le adozioni di Silvia Della Monica, il magistrato che aveva scoperchiato lo scandalo. Tra i contatti politici di Griffini e gli appelli dei genitori adottivi, contro i quali Aibi ha ventilato cause di risarcimento per milioni, il premier Paolo Gentiloni e la sottosegreteria Maria Elena Boschi hanno dato soddisfazione ai primi. E il 14 febbraio scorso la nuova vicepresidente della commissione Laura Laera, nominata da Gentiloni al posto di Della Monica, ha invitato il presidente di Aibi con altri rappresentanti di enti alla riunione di coordinamento per la riapertura delle adozioni in Congo: Marco Griffini e la figlia Valentina, pur essendo ancora sotto inchiesta per gravissimi reati, sono così potuti entrare a pieno titolo in una autorità della Presidenza del Consiglio per trattare gli stessi argomenti per cui sono stati indagati dalla Direzione distrettuale antimafia. Eppure l’autorità di Palazzo Chigi sapeva delle indagini in corso e formalmente ancora oggi aperte: la commissione era stata più volte interpellata dai magistrati milanesi. Ma c’è un’altra coincidenza: la vicepresidente Laera, voluta proprio dal premier Gentiloni, è moglie di Francesco Greco, capo della Procura che ha inizialmente indagato sui Griffini e, dopo l’errore del Tribunale, ora ne chiede l’archiviazione.

Ovviamente l’invito rivolto ai vertici di Aibi è perfettamente legale. E rispecchia la linea politica del governo Gentiloni che, nei suoi ultimi giorni in carica, attraverso il ministro Poletti ha scelto l’indagato Marco Griffini come consulente del suo ministero, inserendolo nel Consiglio nazionale per il terzo settore. Mercoledì 11 aprile alle 12.15 decine di genitori adottivi hanno annunciato la loro presenza, silenziosa e discreta al settimo piano del Tribunale di Milano, per esprimere solidarietà alle famiglie e ai loro bambini che rischiano di vedere archiviato per sempre il loro diritto alla verità.

di Fabrizio Gatti – (Fonte e per approfondire)

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