La prima denuncia della direttrice dell’orfanotrofio che riforniva Aibi
Il 15 marzo 2014 l’avvocato di Aibi a Goma, Martin Musavuli, trasmette via email (qui sopra) il suo primo rapporto sui fatti del 7 marzo denunciati dalla direttrice dell’orfanotrofio. Lo ricevono Eddy Zamperlin, operatore di Aibi in Congo, e gli altri suoi colleghi Filomena Giovinazzo, Mauro Pitzalis, Laura Brivio e Valentina Griffini, figlia del presidente-fondatore e responsabile per le operazioni di Aibi in Africa. Nel rapporto dell’avvocato Musavuli, come vedremo, non si parla di incursioni da parte di uomini armati ma dell’intervento di alcune persone che hanno riconsegnato alle loro famiglie naturali che li reclamavano i nove bambini, tra i quali i quattro già adottati in Italia.
Il rapporto dell’avvocato di Aibi inviato via email allo staff di Marco Griffini non parla affatto di rapimento da parte di alcuni uomini armati non identificati. Già dalla prima pagina (qui sopra) rivela una realtà ben diversa. L’avvocato racconta che un’educatrice dell’orfanotrofio ha cambiato nome ai minori «che sono tutti originari del Sud-Kivu, per dar loro dei nomi del Nord-Kivu». E riferisce che, proprio per questo, la direttrice dell’istituto «Madame Masika Bénédicte ha rivelato che sarà impossibile ritrovare i bambini». Secondo l’avvocato di Aibi, la direttrice sostiene che i nomi sono stati cambiati a sua insaputa. Ma come abbiamo scritto il 15 novembre scorso, la direttrice ha poi ammesso la verità davanti alle telecamere di una tv americana: «Adottati in Italia bambini mai abbandonati dalle loro famiglie». Evidentemente Madame Bénédicte non immaginava che il documentario e la sua confessione sarebbero stati trasmessi via Internet in tutto il mondo.
La seconda pagina del rapporto dell’avvocato di Aibi (qui sopra) contiene già tutte le informazioni che avrebbero dovuto spingere Marco Griffini, rappresentante legale dell’ente di San Giuliano Milanese, e sua figlia Valentina, responsabile delle operazioni in Africa, a dichiarare la verità ai genitori italiani e alle autorità di Italia e Congo. È il primo capoverso: «Tutti questi bambini hanno sia il loro padre sia la loro mamma in vita che oggi li reclamano», scrive l’avvocato dei Griffini a Goma: «Il presidente del Tribunale per i minorenni mi ha confidato che è stato lui a far rientrare all’orfanotrofio Rehema Melanie [una delle bimbe adottata da una famiglia italiana] prima che sparisse di nuovo (probabilmente», fa notare l’avvocato di Aibi, «lei è con sua madre). Sua madre ha reclamato sua figlia alla polizia speciale per l’infanzia. Il presidente del Tribunale per i minorenni ha affermato che la bambina Rehema Melanie assomiglia fortemente a colei che dichiara di essere sua mamma». Il presidente del Tribunale per i minorenni a Goma è Charles Wilfrid Sumaili, il giudice che ha firmato le sentenze che dichiaravano l’adottabilità dei bambini non adottabili e che, nelle comunicazioni interne, Aibi definisce proprio partner. Ed è proprio così: Sumaili è lo stesso magistrato che inventa le accuse per traffico di bambini contro gli enti incaricati dalle autorità italiana e congolese di mettere in salvo i minori ancora nelle mani di Aibi a Goma: denunce che Griffini puntalmente rilancia in Italia ripresentandole davanti alla Procura di Milano. Il presidente Sumaili è lo stesso che fa arrestare dall’amico procuratore di Goma un operatore che aveva messo in salvo quattro bambini e che durante la detenzione viene torturato. Ed è sempre lo stesso che ha confezionato le lettere e i verbali con cui Marco Griffini e Aibi oggi pretendono venti milioni da L’Espresso, colpevole di avere denunciato i traffici. Tra le frasi agghiaccianti riportate ai suoi superiori dall’avvocato dell’ente autorizzato dallo Stato italiano, una lo è più di tutti: «Il presidente del Tribunale per i minorenni mi ha confidato che è stato lui a far rientrare all’orfanotrofio Rehema Melanie prima che sparisse di nuovo». Cioè il presidente Sumaili, partner di Aibi a Goma, aveva già una volta sottratto la bambina Rehema Melanie alla sua famiglia (prima che sparisse di nuovo) pur sapendo che la sua mamma non intendeva abbandonarla. Anzi, la mamma ha reclamato Melanie davanti alla polizia speciale per l’infanzia.
di Fabrizio Gatti – Fonte