Sono ucraina, mi offro come mamma surrogata. Ho 30 anni, altezza 173 cm, peso 68 Kg. Gruppo sanguigno III positivo (B, RH +), occhi azzurri, capelli biondi. Per la verità non lavoro».

Comincia così uno dei tanti annunci che tappezzano le bacheche della rete. Gli addetti ai lavori la chiamano maternità surrogata: nella crisi economica che divora l’Ucraina dal 2013, il fenomeno sta assumendo proporzioni enormi. «Offro il servizio di maternità surrogata dal 2013. Ho esperienza con il programma: tutte le nascite sono state naturali. Ho 32 anni, sono sposata e ho figli. Gruppo sanguigno II positivo (A, Rh +)».

Dal 2014 l’Ucraina combatte contro gli insorti filorussi una guerra mai arrestatasi, nella quasi disattenzione dei media. Un conflitto che ha mietuto oltre diecimila vittime, in un paese già depredato dalle scorribande degli oligarchi arricchitisi sulle spoglie dell’Unione Sovietica. Dalla sua dissoluzione l’Ucraina è stata uno dei centri del traffico di esseri umani diretto verso Occidente: compravendita di neonati, prostituzione e commercio di organi. Nel 1998 il ministero dell’Interno ucraino stimava che dal 1991 le donne ucraine coinvolte nello sfruttamento della prostituzione fossero state almeno mezzo milione.

La corruzione dilaga e crea imbarazzo anche nei corridoi delle cancellerie dove si è distillato il sostegno alle manifestazioni di Maidan, che avrebbero dovuto far scomparire – o almeno attenuare – criminalità e corruzione, e che invece non hanno fatto che consegnare il paese nelle mani dei clan oligarchici. Dall’anno di Maidan – il 2013 – il numero degli abitanti del Paese è sceso drasticamente. La rottura con Mosca e le direttive del Fondo monetario internazionale hanno segnato il declino di esportazioni e importazioni, così come della produzione che faceva di quella ucraina la seconda economia sovietica dopo quella russa: molto diversa è invece la tendenza dell’industria del sesso e di quella della procreazione.

«In Ucraina è più facile trovare una donna per una gravidanza surrogata che un tavolo libero in un ristorante di Kiev», diceva già alcuni anni fa – in una conversazione con un giornalista romeno – Albert Mann, direttore della clinica BioTexCom di Kiev, la più nota dell’Ucraina, a cui si sono rivolti centinaia e centinaia di italiani. Queste strutture si avvalgono di una fitta e consolidata rete di facilitatori e specialisti che avvicinano e assistono i potenziali clienti.

Ludmila Rusak, responsabile di BioTexCom per i clienti italiani, assicura: «La maternità surrogata non è un supermercato: non si sceglie la madre surrogata per il peso, il colore degli occhi o dei capelli».Tuttavia i clienti, ottenendo le credenziali di accesso al sito dell’azienda, possono visualizzare i profili delle donne disponibili a portare avanti una gravidanza in appalto. Insieme alla foto e a un codice, sul sito vengono riportati i profili anonimi di duecentoquaranta donne con età, grado di istruzione, colore degli occhi, altezza, peso, tipo di corporatura. Stando alle dichiarazioni di Ludmila Rusak, a febbraio l’azienda poteva far conto sulla disponibilità dell’utero di circa ottocento donne provenienti da ogni parte dell’Ucraina: Ternopol, L’vov, Mariupol, Nikolaev, Zaporozhe. Alcune dalle campagne sognano la metropoli, per altre invece la gestazione salariata è l’unico modo per permettere il proprio sostentamento e quello della propria famiglia.

Parlare con queste donne è difficile, a volte del tutto impossibile. A fatica, come con Yulia – nome di fantasia – si strappa qualche parola. Fra la diffidenza, l’imbarazzo, la vergogna. E la rabbia. «Ho 35 anni, due figli e sono separata. Sono originaria della regione di Donetsk. Nel 2014, quando è cominciata la guerra, sono scappata. Ora vivo a Chernovits (non lontano dal confine rumeno e moldavo, a circa mille chilometri dalla sua città originaria, ndr.). Però non le dico altro, per favore». Insistendo, e assicurandole l’anonimato assoluto aggiunge: «Non ho ancora mai fatto una gravidanza surrogata. Oggi in Ucraina arrivano moltissime richieste di questo genere: io non ho neppure il diploma, non ho altre possibilità di sostentamento». La voce si abbassa: «I miei parenti sanno della mia scelta. Basta, non voglio più parlarne. Arrivederci».

Nel paese il salario medio è l’equivalente di circa 150 euro. Quello minimo sfiora i 50. La disoccupazione stringe la nazione in una morsa, così come l’aumento dei prezzi di elettricità e gas. Per migliaia di donne ucraine la gravidanza salariata rappresenta una delle sempre più rarefatte possibilità di sopravvivenza in una condizione sociale disperata: a oggi secondo dati ufficiali ucraini i tossicodipendenti sono oltre mezzo milione, benché nel paese questa valutazione sia considerata una stima ben al di sotto del numero reale.

BioTexCom mette a disposizione diverse soluzioni: per la maternità surrogata i tre pacchetti Economy, Standard e Vip, rispettivamente da circa ventinove, trentanove e quarantanovemila euro. Ognuno di questi prevede – con gradi proporzionali di assistenza e servizi – la sistemazione a Kiev dei turisti procreativi per le visite necessarie, la conoscenza della donna che porterà avanti la gravidanza salariata, e naturalmente il saldo degli oneri contrattuali.

Anche considerando l’opzione più onerosa – costi di viaggio, e costi imprevisti sempre dietro l’angolo – il prezzo di un figlio è estremamente ridotto se lo si mette a confronto con i listini delle cliniche specializzate canadesi e statunitensi. Le sole coppie italiane che si rivolgono alla clinica sarebbero almeno duecento all’anno nonostante manchino, forse per l’imbarazzo, dati statistici ufficiali.

Testimonianze su testimonianze fanno scivolare via il velo della libera scelta da questa decisione. «Ho pensato a lungo se farlo o non farlo: a convincermi è stata la necessità economica. Ho una famiglia, ma mi nascondo. È la parte più dura: non tutti i miei parenti e i miei amici rispetterebbero questa scelta».

Con la donazione dei propri ovuli una donna riceve l’equivalente di una cifra compresa tra i 350 e i 400 euro. Considerando uno stipendio corrispondente a circa 150 euro, una gravidanza salariata consente di guadagnare una cifra nove, dieci volte superiore a un salario medio, almeno 10 mila euro divisi per nove mesi di gravidanza.
Chi tiene le redini di questo giro d’affari milionario sembra dedicare all’Italia un’attenzione tutta particolare: La Vita Felice era il nome della clinica di Kharkov – Ucraina orientale – in cui il dottor Feskov assoldava gestatrici a pagamento. La clinica venne chiusa nel 2013 quando varie testimonianze fecero emergere le prassi aziendali che, oltre a violare la legislazione ucraina, non escludevano truffe e minacce.

La gravidanza salariata – come anche in Russia, seppur con specifiche diverse – in Ucraina è legale, a condizione che a usufruirne siano coppie sposate ed eterosessuali. Ma la Procura di Kharkov in passato ha accertato che alcuni dei figli concepiti con gestazioni salariate presso la clinica del dottor Feskov sono stati destinati illegalmente a coppie omosessuali straniere e a dispetto della legislazione ucraina aziende come Fertility Solutions International (Canada), che utilizzano l’Ucraina come incubatrice low-cost, partecipano a campagne per favorire la genitorialità omosessuale a mezzo di gravidanza surrogata.

In Italia la maternità surrogata non è legale. Ma si deve osservare la legislazione dove il fatto avviene, si deve tutelare il minore con il riconoscimento della potestà dei genitori non biologici, e dunque tanto le direttive europee quanto le sentenze della Corte costituzionale riconoscono la legittimità de facto della pratica. Così, mentre le schermaglie in punta di diritto dividono l’Europa, in Ucraina migliaia di donne fanno i conti con la miseria e con la messa a profitto dei propri corpi.

di Maurizio Vezzosi – Fonte

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